mercoledì 20 maggio 2015

Mappa libro "Sulle orme di Gandhi"

RECENSIONE DEL FILM "THE LADY"

"The Lady" di Luc Besson

Recensione di Cassandra del film “The Lady”

''The Lady'' è un film biografico- drammatico del 2011, diretto da Luc Besson, sulla vita del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi. I principali attori sono Michelle Yeoh nel ruolo di Aung San Suu Kyi, David Thewlis nel ruolo del marito Michael Aris, Jonathan Ragget e Jonathan Woodhouse rispettivamente nei ruoli dei figli Kim e Alexander.
Il film, la cui durata è all' incirca di 132 minuti, inizia con un flashback che vede come protagonisti Aung San Suu Kyi in tenera età e suo padre, generale che poi morì per l' indipendenza del suo paese, ovvero la Birmania. Dopo alcuni anni Suu si trasferisce a Londra, in Inghilterra, sposandosi con l' inglese Michael Aris, con il quale in seguito avrà due figli maschi, Alexander e Kim. Un' improvvisa telefonata la avvisa che la madre vedova ha avuto un  infarto ed è stata successivamente ricoverata in un ospedale in Birmania, quindi decide di raggiungerla e partire per il proprio paese natale. Mentre assiste la madre in ospedale, però, una rivolta studentesca si trasforma in una vera e propria strage di massa ad opera della dittatura militare e Suu rimane profondamente colpita alla vista dei tantissimi ragazzi  feriti che giungono all'ospedale. La donna, dopo una lunga riflessione, decide di prolungare la sua permanenza in Birmania per lottare a favore della pace e della democrazia, seguendo le orme di Gandhi. Durante la sua lotta non- violenta verrà sempre appoggiata dal marito Michael, il quale può raggiungere la moglie solo di rado, a causa del visto rifiutato. Aung San Suu Kyi, avendo la maggioranza del popolo schierata a suo favore, vince le elezioni per le quali si era candidata, ma viene subito messa agli arresti domiciliari, mentre i suoi colleghi addirittura imprigionati. Dopo 15 anni di arresti verrà liberata, ma tenuta sempre sotto stretto controllo. Per aiutarla nella sua lotta, Michael chiede la candidatura della moglie al premio Nobel per la pace,che vincerà nel 1991 e potrà ritirare solamente nel 2012. Nel marzo del 1999, al marito viene diagnosticato un pericoloso tumore alla prostata e morirà poco dopo, esattamente il giorno del suo 53° compleanno, senza poter vedere Suu un' ultima volta, a causa del visto non concesso e data l' impossibilità della moglie di raggiungerlo in Inghilterra. Infatti, se Suu avesse lasciato la Birmania per andare dal marito morente, non sarebbe più potuta tornare nella sua patria.Il film si conclude con l' immagine commovente di Aung San Suu Kyi che, durante una delle sue manifestazioni, precisamente otto anni dopo la scomparsa del marito, lancia in aria un' orchidea, in onore di Michael che quando era ancora in vita l' aveva definita un' ''orchidea d' accaio''.


The Lady di Luc Besson


Luc Besson, a parer mio, si è dimostrato un grande regista ed ha girato ''The Lady'' con grandiosità, ma anche con cura al particolare e attenzione alla riproduzione fedele del lato reale delle varie vicende. Grazie a ciò il film risulta molto intenso, mai noioso, anzi molto coinvolgente soprattutto del punto di vista emotivo, e a tratti anche commovente. Ha un ruolo sempre abbastanza centrale la sofferta storia d' amore tra Aung San Suu Kyi e Michael Aris e il forte legame affettivo presente tra lei e  suoi figli. In primo piano il grande amore di Suu per la propria patria, la Birmania e la sua lotta per la giustizia, la democrazia e la pace. Personalmente ho trovato molto coinvolgente l' interpretazione di Michelle Yeoh, che fa immedesimare lo spettatore e si immedesima lei stessa nel bellissimo personaggio di Aung San Suu Kyi, facendo vivere con empatia le scelte, talvolta dolorose e sofferte, di questa grande donna, che l' hanno purtroppo portata all' allontanamento dalla sua famiglia. Mi ha molto colpito e commosso il finale, veramente toccante, in cui Suu lancia un' orchidea, perfetto simbolo della sua lotta e soprattutto dell' amore che la legava al marito, quell' amore che è durato fino alla fine, nonostante le tante difficoltà, come la distanza. La sceneggiatura di Rebecca Frayn mi è piaciuta, in quanto la trama del film mi è sembrata  interessante e i dialoghi sempre credibili; ho trovato particolarmente belli quelli che Suu rivolgeva al suo popolo, esortando tutti all' appoggio di una democrazia  basata sulla pace. La colonna sinora di Eric Serra mi è sembrata adatta a questo genere di film, in quanto era sobria e non risaltava in maniera eccessiva.



domenica 3 maggio 2015

sabato 2 maggio 2015

LA RIVOLUZIONE VERDE




LA RIVOLUZIONE VERDE
La rivoluzione verde è nata a seguito dei risultati raggiunti dall'ingegneria genetica nei laboratori del Messico, delle Filippine (Los Banios) e degli Stati Uniti, dove vennero create nuove sementi altamente produttive di riso, grano, mais.
Tale processo di innovazione delle tecniche agrarie iniziò in Messico nel 1944, ad opera dello scienziato statunitense Norman Borlaug (Premio Nobel per la pace nel 1970), con l'obiettivo di selezionare nuove varietà in grado di soddisfare le crescenti richieste alimentari e ridurre le aree a rischio di carestia.
Le nuove sementi associate a tecnologie agricole innovative, alla razionalizzazione delle irrigazioni e all'aumento dei fertilizzanti e dei pesticidi hanno prodotto una grande crescita delle produzioni agricole ed una trasformazione dei paesaggi agrari. Nei Paesi in via di sviluppo questo massiccio incremento di tecnologie ha portato all'inseguimento del modello di sviluppo occidentale a scapito delle peculiarità locali e delle esigenze delle piccole aziende agricole.
La rivoluzione verde ha introdotto grandi cambiamenti in un mondo dove la maggior parte delle persone dipende ancora dall'agricoltura per la sopravvivenza. Il risultato di queste tecniche è stato l'incoraggiamento di un'agricoltura di vasta scala ai danni dei piccoli agricoltori, che non erano capaci di competere con l'alta efficienza delle sementi della rivoluzione verde. I risultati sono stati spostamenti di massa, urbanizzazione e povertà crescente presso questi contadini, e la perdita della loro terra a vantaggio di grandi aziende agricole, che sono molto più abili nella gestione delle imprese legate all'effettiva applicazione delle tecniche della rivoluzione verde. Una voce critica della rivoluzione verde è quella della scrittrice e attivista indiana Vandana Shiva.


Cosa si intende per rivoluzione verde?
Per rivoluzione verde si intende un cambiamento avvenuto in agricoltura che ha portato, in questo settore, una serie di trasformazioni talmente radicali ed innovative da poter parlare di una vera e propria rivoluzione.



Come iniziò la rivoluzione verde?
La rivoluzione verde iniziò nel 1944 in Messico dove, negli istituti di ricerca, vennero incrociate due specie di cereali.

Quali trasformazioni portò la rivoluzione verde?
Tra le trasformazioni portate dalla rivoluzione verde la prima è stata l'impiego di selezioni delle specie vegetali e di ibridi (cioè incroci)

Accanto a tale innovazione ne troviamo delle altre, ovvero:
  • la forte meccanizzazione;
  • l'impiego di concimi chimici con lo scopo di aumentare la fertilità dei suoli;
  • l'impiego dei fitofarmaci per combattere le malattie che colpiscono le piante;
  • l'uso di tecniche di irrigazione innovative;
  • lo scambio di colture tra i continenti.

Quale fu l'obiettivo principale della rivoluzione verde?

L'obiettivo principale della rivoluzione verde fu quello di aumentare la produzione mondiale di derrate alimentari in modo da rappresentare una soluzione al problema della fame nel mondo.
L'obiettivo perseguito dalla rivoluzione verde è stato raggiunto?
L'obiettivo perseguito della rivoluzione verde è stato solo in parte ottenuto. 
In molti Paesi si è assistito ad un considerevole incremento della produzione di derrate alimentari dovuto sia ad un incremento delle rese che alla possibilità di avere più raccolti all'anno.
Ad esempio, in India, tra il 1967 e il 1979, quindi nell'arco di 12 anni, la produzione complessiva è più che triplicata.
In altri Paesi, i buoni risultati ottenuti attraverso l'impiego di specie ibride sono stati vanificati dall'aumento della popolazione. 

La rivoluzione verde ha portato solo benefici?
La rivoluzione verde non ha portato solamente benefici, ma anche alcuni problemi.
In primo luogo i problemi ambientali dovuti soprattutto all'uso di grandi quantitativi di prodotti chimici.
L'impiego massiccio di fertilizzanti e di antiparassitari e di una irrigazione abbondante ha portato, spesso, a modificare le caratteristiche organolettiche dei prodotti alimentari che, di frequente, hanno un minor valore nutritivo rispetto alle specie usate in precedenza.
A ciò va aggiunto che le monocolture hanno sostituito coltivazioni più varie incidendo anche sulle diete di molte popolazioni che sono diventate meno diversificate e più povere.






Norman Borlaug - (Cresco, 25 marzo 1914 – Dallas, 12 settembre 2009) è stato un agronomo e ambientalista statunitense, vincitore del Premio Nobel per la pace nel 1970, definito il padre della Rivoluzione verde.
Cresciuto nella fattoria di famiglia a Cresco, piccolo paese dell'Iowa, compì gli studi nella sua città natale, per poi portare a termine un Dottorato di ricerca in Patologia vegetale all'Università del Minnesota, nel 1942.
Dal 1942 al 1944 divenne ricercatore della DuPont, incentrando i suoi studi sui battericidi e sui fungicidi.
Nel 1944 divenne responsabile del centro di ricerche delle malattie genetiche con sede in Messico, dove negli anni si prodigò per creare coltivazioni resistenti alle condizioni climatiche avverse dei Paesi del Terzo Mondo, attraverso le modificazioni geniche e la creazione di colture resistenti. Egli incrociò varietà diverse di frumento per ottenerne di nuove che fossero resistenti al clima mesoamericano, avessero ottima resa e non crescessero troppo in altezza per poi piegarsi, il cosiddetto "grano nano". In Messico riuscì a far raggiungere, pochi anni dopo il suo arrivo, l'autosufficienza alimentare grazie ai suoi metodi. Dopo il Messico sperimentò i suoi metodi in India, Pakistan, poi in Egitto e in molti altri Paesi dell'Africa e dell'Asia. Cominciò così la Rivoluzione alimentare, o "Rivoluzione Verde", che trova in Borlaug il proprio fondatore.
Per il suo impegno nella lotta contro la fame nel mondo, ottenne il riconoscimento del Premio Nobel per la Pace nel 1970.
Nel 1986 fondò il World Food Prize, riconoscimento diretto alle personalità impegnate nella lotta contro la fame nel mondo.
È morto nella sua casa di Dallas in Texas il 12 settembre 2009, dopo una lunga lotta contro il cancro.

sabato 25 aprile 2015

IL MOVIMENTO CHIPKO E LA DEFORESTAZIONE


India - Il movimento Chipko

IL MOVIMENTO CHIPKO

In India esiste una leggenda che narra di una donna morta per difendere gli alberi della propria regione, divenendo un esempio di coraggio per i suoi contemporanei, e per le generazioni future.
La storia narra che intorno al 1730, il Maharajah Abhay Singh di Jodhpur inviò nel vicino distretto di Khejarli i suoi emissari, con il compito di procurare il legname necessario per la costruzione del suo nuovo palazzo. Amrita Devi si oppose agli uomini del sovrano, abbracciando gli alberi nell’estremo tentativo di difenderli dai tagliaboschi, e finendo così decapitata dalle loro stesse asce. Le tre figlie di Amrita, allora, seguirono il suo esempio, e così altri 363 Bishnoi tra uomini, donne e bambini, sacrificandosi tutti per la salvezza dei loro alberi.
Si racconta che il Maharajah, allora, impressionato dal coraggio di Amrita e dei suoi compagni, non solo sospese il massacro, ma emise un decreto col quale proibì il taglio degli alberi e l’uccisione degli animali all’interno di quella regione.
La leggenda di Amrita Devi è arrivata sino ai giorni nostri, e ha ispirato il Movimento Chipko, che negli anni Settanta è stato protagonista di proteste che hanno visto le donne indiane nuovamente mobilitate in difesa degli alberi, contro la deforestazione e la desertificazione. “Chipko” è una parola hindi che significa ‘aggrapparsi’, e rievoca la tecnica principale delle manifestanti di abbracciare i tronchi degli alberi destinati all’abbattimento, rifiutando di piegarsi alla logiche della speculazione commerciale.

Nel 1987 il movimento Chipko fu prescelto per un "Premio per il Diritto alla Sussistenza", noto come il premio "Nobel alternativo". Il premio fu giustamente meritato per questo piccolo movimento dominato dalle donne che era diventato una campagna nazionale per la preservazione delle foreste.





LA DEFORESTAZIONE
La deforestazione è la riduzione delle aree verdi naturali della Terra causata dallo sfruttamento eccessivo delle foreste. E' uno dei principali problemi ambientali del mondo contemporaneo. La presenza delle foreste gioca un ruolo di grande importanza per il mantenimento degli equilibri dell'ecosistema. Tramite il processo della fotosintesi le piante sottraggono l'anidride carbonica nell'aria rilasciando al suo posto l'ossigeno.
Le foreste consentono di filtrare e trattenere le acque, riducono i rischi idrogeologici del territorio, preservano l'habitat di migliaia di specie animali e vegetali (biodiversità), frenano l'erosione del suolo. Quando il taglio degli alberi eccede il loro tasso di ricrescita, allora la popolazione di alberi si riduce (deforestazione). Col passare del tempo si ridurranno anche gli effetti positivi apportati dalle piante all'intero ecosistema.

Possiamo individuare le cause della deforestazione nelle seguenti:
o    Legname come combustibile. Un terzo della popolazione mondiale è costretto ad utilizzare il legname come combustibile per riscaldare le abitazioni o per cucinare.
o    Creare nuove terre coltivabili. In molti paesi in via di sviluppo le foreste sono tagliate per creare nuove terre coltivabili. Le classi più povere sono costrette a questa pratica nell'intento di creare una economia di sussistenza. Purtroppo queste terre sono successivamente acquistate dagli speculatori che ricomprano gli appezzamenti dagli agricoltori per destinarli ad uno sfruttamento edilizio o minerario. Gli agricoltori sono pertanto costretti a tagliare altre aree forestali. Molte terre coltivate sono monocolture per produrre prodotti non alimentari (es. gomma naturale) destinati ad essere acquistati come materia prima delle filiere industriali (es. biocarburanti). Essendo le terre coltivabili una entità limitata, questo riduce la quantità di produzione agricola per l'alimentazione, spingendo le classi più povere al taglio delle foreste per creare un'agricoltura familiare di sussistenza.
o    Domanda di legno pregiato. La domanda di legno pregiato accresce il taglio degli alberi delle foreste equatoriali e tropicali.

I danni della deforestazione
Le piante verdi o comunque in generale le piante aiutano a mantenere stabile la concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera (attraverso la fotosintesi clorofilliana). L'utilizzo di combustibili fossili ed il disboscamento stanno causando un aumento di CO2 nell'atmosfera, che ha diretta influenza in fenomeni come l'effetto serra ed il riscaldamento globale. Gli effetti negativi del disboscamento sono numerosi e comprendono:
·         biodiversità in perdita;
·         effetto serra;
·         desertificazione 
·         erosionefrane e smottamenti nei territori piovosi e collinari;
·         inquinamento degli ecosistemi acquatici (a causa del dilavamento delle acque);
·         sottrazione di risorse per le popolazioni indigene.

La deforestazione, come è noto, è uno delle grandi problematiche ambientali moderne. La preoccupazione è alle stelle, da molti anni, specie nei confronti di zone di importanza vitale a livello planetario quali la Foresta Amazzonica sudamericana. Ma la deforestazione è un problema che riguarda ogni stato del Pianeta.


L'effetto serra - L'effetto serra è un fenomeno naturale chiamato così perché ricorda quanto avviene nelle serre utilizzate in agricoltura. Le serre sono capannoni costruiti con materiale trasparente (come teli di plastica o vetro), che fa passare i raggi del sole per riscaldare l'aria all'interno e allo stesso tempo impedisce all'aria riscaldata di andarsene via. È la stessa funzione che svolge l'atmosfera intorno alla Terra. I raggi del sole passano attraverso l'atmosfera e riscaldano la Terra. L'atmosfera è in grado di mantenere parte del calore, e questo è un bene per la regolazione del clima; la differenza con le serre sta però nel fatto che l'atmosfera intorno alla Terra è fatta in modo da permettere a una parte del calore di sfuggire creando una situazione di equilibrio. Quando, però, i cosiddetti gas di serra, di cui l'anidride carbonica CO2 è di gran lunga il principale, aumentano troppo, e in troppo poco tempo, l'atmosfera comincia a trasformarsi: somiglia sempre di più al materiale che copre le serre e fa allontanare dalla Terra meno calore. Così la temperatura sulla Terra lentamente comincia a crescere e questo provoca cambiamenti nella quantità delle piogge e nella distribuzione del calore nelle diverse stagioni (in alcuni casi aumenta, in altri diminuisce). L'effetto serra sta provocando grandi e rapide trasformazioni del clima, con effetti sulla vegetazione, sugli animali, sull'agricoltura e sulla vita di tutti noi.

sabato 11 aprile 2015

RECENSIONE DEL FILM "GANDHI"


                                   "Gandhi" di Richard Attenborough


La recensione di Cassandra del film "Gandhi"

''Gandhi'' è un film biografico del 1982 ,diretto da Richard Attenborough, sulla vita del Mahatma, interpretato dal grande Ben Kingsley. Altri personaggi sono: Candice Bergen nel ruolo di Margaret Bourke- White, Edward Fox nel ruolo del generale Dyer, Geraldine James nel ruolo di Mirabehn e Trevor Howard nel ruolo del giudice Broomfield. Il film inizia con la fine della vita di Gandhi, quando il 30 gennaio 1948 ,a Nuova Delhi, viene assassinato da un giovane estremista indù. La pellicola prosegue, poi, con la nascita della rivolta del Mahatma, quando viene sbattuto fuori da un treno diretto a Pretoria, perché si era accomodato in prima classe. Successivamente incontra Khan, suo cliente in quanto lui era avvocato, grazie al quale diventa cosciente delle brutali condizioni degli indiani nell' Impero britannico. Gandhi, allora, prende la decisione di creare un movimento pacifico e determinato, basato sul concetto di non-violenza e la disobbedienza civile. Durante una manifestazione brucia un passaporto e, a causa della sua azione viene brutalmente aggredito dalla polizia. Rimessosi dall' aggressione, riprende ad organizzare manifestazioni pacifiche venendo, però, arrestato e una volta condotto in carcere incontra un viceré inglese, il quale  si ritiene favorevole all' annullamento delle leggi contro le quali egli aveva protestato. Gandhi fa, così, ritorno in India, proclamando le sue idee non-violente ed ottenendo enormi consensi dal Paese. L' attivista propone un giorno di sciopero a tutto il popolo, allo scopo di complicare la vita politica ai potenti inglesi.
In seguito a ciò il Mahatma viene nuovamente arrestato e poi rilasciato senza dover nemmeno pagare la cauzione. Dopo breve tempo, però, le truppe inglesi del generale Dyer sparano ad una folla di indiani, provocando l' uccisione di moltissime persone tra cui anche donne e bambini. Cominciano a sorgere violenti scontri tra indù e musulmani ,ai quali Gandhi risponde con uno sciopero della fame e della sete, supportato da Mirabehn, sua figlia ''d'adozione'' e sua grandissima seguace. Nel frattempo viene arrestato  per l' ennesima volta e costretto a sei anni di reclusione, con l' accusa di sedizione. Una volta liberato, Gandhi percorre le strade indiane fino a giungere all' Oceano Atlantico, dove raccoglie il sale (quest'evento fu poi chiamato marcia del sale) un gesto simbolico contro la tassa sul sale imposta dal governo britannico. Il protrarsi delle manifestazioni portano gli inglesi a cedere, ma il Mahatma viene ancora arrestato e perde la moglie a causa di una trombosi. Nonostante ciò, l' India riesce a guadagnare l' indipendenza. Il film, poi, si conclude con una frase meravigliosa:''Quando dispero mi ricordo che nel corso di tutta la storia la via dell' amore e della verità ha sempre vinto. Ci sono stati tiranni e macellai e per un po' possono sembrare invincibili, ma la conclusione è che cadono sempre.''


Attenborough, a mio parere, è stato molto bravo a racchiudere in un unico film la vita di un grandissimo uomo come Gandhi, ha saputo creare delle buone scene di massa, spesso ariose come ''la marcia del sale'' ed è riuscito ad orchestrare in maniera precisa i movimenti delle grandi folle grazie all' utilizzo di molte comparse  L' andatura del film è piuttosto lenta, come è normale che sia essendo una biografia, ma le scene sono tutte abbastanza interessanti e lo spettatore perde raramente l' attenzione. La sceneggiatura è stata anch' essa buona, con una trama fedele alla vita del Mahatma e dialoghi credibili e mai surreali. Anche la scelta dei costumi è stata appropriata in quanto gli abiti rispecchiano la tradizione indiana, come la colonna sonora, che mantiene comunque grande sobrietà. Resta centrale la figura del Mahatma e l'interpretazione di Ben Kingsley è davvero eccezionale e commovente, con una grande aderenza fisica e un'intensità  davvero ammirevole, soprattutto nello sguardo, attraverso cui filtra l'umanità, il grande amore per la giustizia e l' enorme desiderio di pace per il popolo del personaggio. Le figure di giudici e dignitari inglesi, invece, sono meno riuscite, anche perchè caratterizzate in maniera forse troppo negativa e a causa di ciò le scene dei loro interventi risultano le meno interessanti, anche se sono comunque indispensabili dal punto di vista narrativo. Personalmente ho trovato molto interessante anche le scene inizali nelle quali il Mahatma reagisce in maniera più impulsiva, come nella scena nella quale sua moglie si rifiuta di lavare le latrine dell'Ashram e lui reagisce quasi con violenza, spiegandole infine il valore di quel gesto. Ho trovato questo film molto bello e ben riuscito, che fa onore ad un grandissimo personaggio della storia moderna come Gandhi. Ricordo che, in una delle scene iniziali del film, durante il funerale di Gandhi, un cronista disse: ''Le nuove generazioni stenteranno a credere che sulla nostra terra sia nato, cresciuto e vissuto un uomo di tale grandezza'' E questo film contribuisce, invece, a renderci coscienti della grande storia di questo colosso, una storia che un po' appartiene a tutti , perché, anche inconsapevolmente, ognuno di noi ha imparato valori importantissimi da Gandhi, come la pace e la fratellanza.
Bellissimo anche il finale, nel quale le parole del Mahatma accompagnano un meraviglioso tramonto sul Gange.

domenica 22 marzo 2015

IL MIO BINDI



Bindi vuol dire goccia, particella, punto. E’ una decorazione per la fronte indossata dalle donne dell'Asia del Sud.




Il bindi è un simbolo con cui celebrare l’intelletto umano. Richiama la purezza dei propri pensieri, la propria capacità di agire con coraggio e lottare per la verità. Si crede che il bindi possa trattenere l'energia indicando la sede della "saggezza nascosta". 


"Il mio bindi" - disegni realizzati da alunni di 2° e 3° media


Il bindi simboleggia il terzo occhio, o punto di raccoglimento energetico.
Celebra l’intelletto umano. Richiama la purezza dei propri pensieri, la capacità di agire con coraggio e lottare per la verità.

domenica 15 marzo 2015

Cartellone realizzato da alunne di 1° media

lunedì 16 febbraio 2015

MAPPA LEZIONI 1° QUADRIMESTRE

Mappa lezioni 1°quadrimestre

Mappa realizzata da alunna di 1°media

Mappa realizzata da alunna di 2°media





lunedì 2 febbraio 2015

AUNG SAN SUU KYI


«Quelli di noi che hanno deciso di lavorare per la democrazia in Birmania, lo hanno fatto convinti che il pericolo di difendere apertamente i diritti umani fondamentali in uno stato repressivo fosse preferibile alla sicurezza di una vita sottomessa in servitù…» ( Aung San Suu Kyi)

Aung San Suu Kyi (Rangoon, 19 giugno 1945) è un’attivista politica birmana impegnata da molti anni nella difesa dei diritti umani del suo Paese, oppresso da una rigida dittatura militare.
Figlia del generale Aung San, considerato in Birmania un eroe nazionale perché l’aveva resa indipendente dall’Inghilterra nel 1947, e di Daw Khin Kyi, unica ambasciatrice donna della Birmania, Suu Kyi è nata nella capitale, Rangoon, nel 1945. Fin d’adolescente, dopo la morte del padre vittima di un attentato, segue la madre nel suo lavoro all’estero.
 «Per me mia madre rappresentava integrità, coraggio e disciplina. Aveva un cuore molto generoso. Ma la sua vita non era stata facile. Penso che sia stato molto arduo per lei coniugare famiglia e lavoro dopo la morte di mio padre..»
Dal 1964 al 1967 studia Filosofia, Politica ed Economia all’Università di Oxford, in Inghilterra, e dal 1969 lavora a New York presso le Nazioni Unite. Nel 1972 sposa Michael Aris, professore di letteratura tibetana a Oxford, da cui ha due figli.
Il 31 marzo 1988 un’improvvisa telefonata segna il suo futuro: la avvisano che la madre è gravemente malata. Suu Kyi rientra in Birmania dopo moltissimi anni di assenza dal suo Paese e da quel giorno non torna più in Occidente.
La Birmania è da anni governata da una dittatura militare istituita dal generale Saw Maung.
Nel settembre 1988 i militari sparano su una folla immensa (la rivolta 8888)  che manifesta pacificamente contro la dittatura e uccidono migliaia di persone. E’ l’evento che muove Suu Kyi ad entrare in politica e unirsi alle proteste della sua gente verso un regime che l’ha privata di ogni libertà, di ogni diritto, l’ha ridotta in miseria e punisce i dissidenti con la tortura, i lavori forzati, il carcere, la morte.
Con un discorso memorabile alla pagoda di Shwedagon, davanti a mezzo milione di persone, il 26 agosto del 1988, Suu Kyi entra in politica: «In quanto figlia di mio padre, non potevo restare indifferente di fronte a tutto ciò che sta accadendo.» Lancia quella che definisce la “seconda battaglia per l’indipendenza nazionale” e fonda la National League for Democracy (NLD); la sua casa diventa il quartier generale di coordinamento del partito e della “lotta non-violenta” contro la dittatura.
Suu Kyi diventa capo dell’opposizione con l’obiettivo di contrastare la dittatura militare dello SLORC (Consiglio di Stato per la restaurazione della legge e dell’ordine). Lo SLORC detiene il potere tramite la legge marziale, gli arresti arbitrari e la detenzione di persone sospette.
Nel luglio del 1989, lo SLORC le offre la possibilità di lasciare il Paese, se vuole, a condizione di rimanere in esilio, ma lei è determinata a restare in Birmania e così viene messa agli arresti domiciliari per aver denunciato che lo SLORC è controllato dal generale Ne Win che, sebbene in pensione, comanda il Paese.
Tuttavia appena libera la donna tornerà vicina al suo popolo, ascolterà la voce della sua gente, vorrà sapere dei suoi bisogni, scriverà, terrà i discorsi settimanali o “della domenica” presso la sua casa di Rangoon. Esorterà ad avere fiducia, a credere nella forza dell’amore, del bene, nella nonviolenza, a considerare necessaria la vittoria finale di questi valori perché propri dell’uomo, della sua natura, della sua civiltà.
Nel maggio 1990 la NLD vince le elezioni ottenendo l’80% dei seggi, ma lo SLORC annulla i risultati delle votazioni e ricorre ad ogni forma di violenza materiale e morale; continua con le sue gravi misure contro i cittadini e in particolare contro gli esponenti del partito democratico.
Per tentare di mettere a tacere le manifestazioni a favore della democrazia, l’esercito birmano uccide per le strade circa 3.000 persone tra studenti, monaci buddisti e civili. E questo nonostante i richiami che da tanti governi stranieri giungono ai capi birmani invitandoli ad una politica più conciliante.
Nel 1991, Sempre durante gli arresti domiciliari, Aung San vince i premi Rafto, Sacharov (per la libertà di pensiero) e il Nobel per la Pace, e con i soldi del premio crea un fondo per la salute e l’istruzione a favore del popolo birmano.
Nel 1995 le vengono revocati gli arresti, ma rimane comunque in uno stato di semilibertà. Non può lasciare il Paese ed i suoi familiari, che sono rimasti in Inghilterra, non possono visitarla; nemmeno suo marito, quando gli viene diagnosticato il cancro, potrà andare in Birmania e morirà senza rivederla.
La Birmania continua la sua politica di militarizzazione e, da qualche tempo, Suu Kyi chiede di boicottare il turismo nel suo Paese. Suu Kyi ritiene, infatti, che il turismo e gli investimenti stranieri aiutino il governo militare a conservare il potere.
A 56 anni Suu Kyi continua a battersi, in stile gandhiano, per la democrazia, il rispetto dei diritti umani e la nonviolenza. I suoi modelli di riferimento sono sempre stati Gandhi e suo padre.
Dal primo ha appreso la dottrina della nonviolenza; dal secondo l’umiltà e l’impegno per il proprio popolo. Nel suo libro “Libera dalla paura”, questa donna coraggiosa afferma che non è il potere che corrompe, bensì la paura. Ecco perché per rispondere alla violenza del governo si è impegnata ad agire senza paura. Tuttora, Suu Kyi non ha paura di rinunciare, pur dolorosamente, alla lontananza dagli affetti più cari, pur di portare avanti la lotta per la libertà del suo Paese.
Suu Kyi si presenta come un chiaro modello e come simbolo della speranza e di una forza più grande del potere armato.
Nel 2007 riesce a fare una breve apparizione al cancello della sua residenza e con le mani giunte rende omaggio ai monaci che marciano per la libertà e i diritti umani. Nonostante il regime militare spari sui dimostranti, la folla di monaci affronta coraggiosamente i militari e continua a protestare pacificamente. Migliaia di persone vengono arrestate, interrogate e torturate.
Il 13 novembre 2010, finalmente, Aung San Suu Kyi viene liberata e dopo 10 anni ha potuto sentire al telefono suo figlio più piccolo, ormai 33enne ed il 23 novembre, finalmente rivederlo.
Il 1° aprile del 2012, Aung San Suu Kyi è stata eletta in Parlamento con l’82 % delle preferenze e il suo partito (la Lega Nazionale per la Democrazia) ha conquistato 43 dei 45 seggi in palio.
Nei prossimi mesi la giunta militare che da anni guida la Birmania deciderà se Aung San Suu Kyi, leader dell'opposizione, potrà candidarsi alle elezioni presidenziali del 2015.

Film consigliato: “The lady – L’amore per la libertà” (2011) di Luc Besson


lunedì 12 gennaio 2015

KAILASH SATYARTHI



Kailash Satyarthi (Vidisha, 11 gennaio 1954) è un attivista indiano. Ha vinto il Premio Nobel per la pace nel 2014 insieme alla pakistana Malala Yousafzai per le loro lotte in favore dell'educazione e la salvaguardia dei bambini.
Kailash Satyarthi è impegnato nella lotta contro lo sfruttamento del lavoro minorile. La sua azione ha permesso di liberare dalla schiavitu' almeno 80.000 bambini facendo in modo che intraprendessero un percorso di reintegrazione, riabilitazione ed educazione.
Satyarthi ha portato avanti la tradizione del Mahatma Gandhi attuando diverse forme di proteste pacifiche, mostrando un grande coraggio e concentrandosi sul grave sfruttamento dei bambini per scopi economici. 
Le marce sono sempre state parte integrante della tradizione indiana. Il Mahatma Gandhi ne ha condotte tante per sensibilizzare la popolazione.
Tenendo presente il forte impatto che hanno, specialmente quando si tratta di mobilitazioni di massa, le marce hanno sempre avuto un ruolo importante nella strategia complessiva che Satyarthi adotta contro la schiavitù minorile.
Con la sua organizzazione ‘Bachpan Bachao Andolan’, Satyarthi in India è considerato un punto di riferimento per quanto riguarda l'abolizione del lavoro minorile.
Più di una volta Kailsh e gli altri attivisti che lo accompagnavano sono stati aggrediti e brutalmente picchiati. C`é anche chi ha perso la vita.
Il lavoro coatto (forzato) è una forma di schiavitù che consiste nello sfruttamento di una famiglia estremamente povera che, per poter sopravvivere, chiede un prestito a uno strozzino (di solito si tratta di piccole cifre) e in cambio è costretta a lasciare un figlio in cauzione, fino all'estinzione del debito. Ma molto spesso la famiglia non riesce ad estinguere il debito, perciò il bambino viene venduto e rivenduto a diversi padroni. Questi piccoli operai lavorano i diamanti, il taglio delle pietre, lavorano nella manifattura e in altre forme di artigianato.
Ogni bambino che lavora toglie un posto ad un adulto. Satyarthi afferma: “La crescita della disoccupazione è direttamente connessa alla crescita del lavoro minorile”.
Il datore di lavoro indiano preferisce assumere, in una famiglia, il bambino piuttosto che i suoi genitori. Perché i bambini si possono pagare meno ed è più facile sfruttarli: “Di certo non sono in grado di fare rivendicazioni o di strutturarsi in sindacati”. Questo il semplice e disarmante circolo vizioso: “I figli assunti al posto dei propri genitori”.
Satyarthi salva i bambini e le donne dalla schiavitù in fabbriche sovraffollate, luride e sperdute, nelle quali si lavora in condizioni a dir poco deplorevoli, con orari disumani, senza alcuna misura di sicurezza.
“Riteniamo che non ci siano violazioni dei diritti umani peggiori di questa. È la lacuna più vergognosa della giustizia indiana, della Costituzione del nostro Paese e della Carta delle Nazioni Unite. L'arma più efficace che abbiamo a disposizione è quella di educare la gente, creando sensibilità e consapevolezza riguardo a questa piaga sociale. Inoltre, cerchiamo di identificare le aree in cui viene comunemente praticata la schiavitù minorile. Andiamo anche a prendere i bambini di nascosto e li riportiamo alle loro famiglie. A questo fa seguito la loro istruzione, nonché la riabilitazione, che sono passi altrettanto fondamentali dell'intero processo”. (Kailash Satyarthi)

Satyarthi ha organizzato e condotto due grandi marce attraverso l'India per sensibilizzare la popolazione sul problema del lavoro minorile e, nel 1998, è riuscito a riunire oltre diecimila organizzazioni non governative di tutto il mondo in una marcia denominata Global March Against Child Labor.



Intervista a Kailash Satyarthi dopo la vittoria del Premio Nobel per la Pace:
La domanda sarà scontata, ma come non farla: come ha accolto la notizia?
Questo premio è un riconoscimento ed un onore per i milioni di bambini che ancora sono in schiavitù, che sono privati della loro infanzia, dell’educazione, ma soprattutto del loro diritto fondamentale alla libertà. Voglio ancora una volta ricordare e richiamare all’attenzione il fatto che ci sono ancora molti, troppi bambini che lavorano come schiavi nelle fabbriche di mattoni, nelle case, nelle miniere. Spesso rimangono invisibili. Questo premio è per loro, ma è anche per gli indiani: l’India è forse la madre di centinaia di problemi ma è anche anche la madre di milioni di soluzioni.
Lei sta dividendo il Nobel con una cittadina pakistana. Come legge questa situazione alla luce delle recenti tensioni tra i due Paesi?
Credo che sia stata una grande decisione, un messaggio che non deve arrivare soltanto ai governi, ma soprattutto ai cittadini. Ho lavorato con organizzazioni pakistane per molti anni, sono stato lì spesso e conosco la gente. Ho sempre pensato che una convivenza pacifica sia e debba essere possibile. Possiamo e dobbiamo vivere in pace nel nome dei comuni valori dell’umanità, soprattutto quando parliamo di infanzia. I bambini devono nascere e crescere nella pace, devono divertirsi e viversi l’istruzione come esseri umani liberi.
Spesso la povertà è considerata origine dello sfruttamento minorile…
Il fatto che la povertà sia causa e perpetuazione del lavoro minorile è solo ed assolutamente un mito. È in realtà il lavoro minorile a permettere alla  povertà e all’analfabetismo di continuare ad esistere. Non possiamo più nasconderci dietro alla scusa della povertà come origine dello sfruttamento minorile e del furto dell’infanzia dei nostri bambini. È inaccettabile.
Che cosa le ha fatto scegliere di intraprendere questo lavoro?
Tutto è nato dalla compassione, quando avevo cinque o sei anni. Per la prima volta, nella mia città natale ho visto un bambino che aveva la mia stessa età lavorare con il padre; proprio davanti alla mia scuola. Provavo un sentimento contraddittorio: da una parte io ero contento e studiavo con gioia, dall’altra c’era lui che, invece, lottava per la sua infanzia e per il suo sostentamento. Chiesi ai miei genitori e al mio maestro come fosse possibile e mi diedero la stessa risposta: sono bambini poveri e quindi lavorano. Non mi convinsero. Un giorno chiesi al padre di quel bambino, come mai non mandasse il figlio a scuola; mi guardò come se gli stessi facendo una domanda assurda e mi rispose: noi siamo nati per lavorare. Rimasi stupito ed attonito. Perché qualcuno era nato per lavorare mentre io, invece, me ne andavo a scuola sereno? Queste domande mi hanno sempre accompagnato e il non aver trovato una risposta convincente mi ha portato a iniziare a combattere.