lunedì 12 gennaio 2015

KAILASH SATYARTHI



Kailash Satyarthi (Vidisha, 11 gennaio 1954) è un attivista indiano. Ha vinto il Premio Nobel per la pace nel 2014 insieme alla pakistana Malala Yousafzai per le loro lotte in favore dell'educazione e la salvaguardia dei bambini.
Kailash Satyarthi è impegnato nella lotta contro lo sfruttamento del lavoro minorile. La sua azione ha permesso di liberare dalla schiavitu' almeno 80.000 bambini facendo in modo che intraprendessero un percorso di reintegrazione, riabilitazione ed educazione.
Satyarthi ha portato avanti la tradizione del Mahatma Gandhi attuando diverse forme di proteste pacifiche, mostrando un grande coraggio e concentrandosi sul grave sfruttamento dei bambini per scopi economici. 
Le marce sono sempre state parte integrante della tradizione indiana. Il Mahatma Gandhi ne ha condotte tante per sensibilizzare la popolazione.
Tenendo presente il forte impatto che hanno, specialmente quando si tratta di mobilitazioni di massa, le marce hanno sempre avuto un ruolo importante nella strategia complessiva che Satyarthi adotta contro la schiavitù minorile.
Con la sua organizzazione ‘Bachpan Bachao Andolan’, Satyarthi in India è considerato un punto di riferimento per quanto riguarda l'abolizione del lavoro minorile.
Più di una volta Kailsh e gli altri attivisti che lo accompagnavano sono stati aggrediti e brutalmente picchiati. C`é anche chi ha perso la vita.
Il lavoro coatto (forzato) è una forma di schiavitù che consiste nello sfruttamento di una famiglia estremamente povera che, per poter sopravvivere, chiede un prestito a uno strozzino (di solito si tratta di piccole cifre) e in cambio è costretta a lasciare un figlio in cauzione, fino all'estinzione del debito. Ma molto spesso la famiglia non riesce ad estinguere il debito, perciò il bambino viene venduto e rivenduto a diversi padroni. Questi piccoli operai lavorano i diamanti, il taglio delle pietre, lavorano nella manifattura e in altre forme di artigianato.
Ogni bambino che lavora toglie un posto ad un adulto. Satyarthi afferma: “La crescita della disoccupazione è direttamente connessa alla crescita del lavoro minorile”.
Il datore di lavoro indiano preferisce assumere, in una famiglia, il bambino piuttosto che i suoi genitori. Perché i bambini si possono pagare meno ed è più facile sfruttarli: “Di certo non sono in grado di fare rivendicazioni o di strutturarsi in sindacati”. Questo il semplice e disarmante circolo vizioso: “I figli assunti al posto dei propri genitori”.
Satyarthi salva i bambini e le donne dalla schiavitù in fabbriche sovraffollate, luride e sperdute, nelle quali si lavora in condizioni a dir poco deplorevoli, con orari disumani, senza alcuna misura di sicurezza.
“Riteniamo che non ci siano violazioni dei diritti umani peggiori di questa. È la lacuna più vergognosa della giustizia indiana, della Costituzione del nostro Paese e della Carta delle Nazioni Unite. L'arma più efficace che abbiamo a disposizione è quella di educare la gente, creando sensibilità e consapevolezza riguardo a questa piaga sociale. Inoltre, cerchiamo di identificare le aree in cui viene comunemente praticata la schiavitù minorile. Andiamo anche a prendere i bambini di nascosto e li riportiamo alle loro famiglie. A questo fa seguito la loro istruzione, nonché la riabilitazione, che sono passi altrettanto fondamentali dell'intero processo”. (Kailash Satyarthi)

Satyarthi ha organizzato e condotto due grandi marce attraverso l'India per sensibilizzare la popolazione sul problema del lavoro minorile e, nel 1998, è riuscito a riunire oltre diecimila organizzazioni non governative di tutto il mondo in una marcia denominata Global March Against Child Labor.



Intervista a Kailash Satyarthi dopo la vittoria del Premio Nobel per la Pace:
La domanda sarà scontata, ma come non farla: come ha accolto la notizia?
Questo premio è un riconoscimento ed un onore per i milioni di bambini che ancora sono in schiavitù, che sono privati della loro infanzia, dell’educazione, ma soprattutto del loro diritto fondamentale alla libertà. Voglio ancora una volta ricordare e richiamare all’attenzione il fatto che ci sono ancora molti, troppi bambini che lavorano come schiavi nelle fabbriche di mattoni, nelle case, nelle miniere. Spesso rimangono invisibili. Questo premio è per loro, ma è anche per gli indiani: l’India è forse la madre di centinaia di problemi ma è anche anche la madre di milioni di soluzioni.
Lei sta dividendo il Nobel con una cittadina pakistana. Come legge questa situazione alla luce delle recenti tensioni tra i due Paesi?
Credo che sia stata una grande decisione, un messaggio che non deve arrivare soltanto ai governi, ma soprattutto ai cittadini. Ho lavorato con organizzazioni pakistane per molti anni, sono stato lì spesso e conosco la gente. Ho sempre pensato che una convivenza pacifica sia e debba essere possibile. Possiamo e dobbiamo vivere in pace nel nome dei comuni valori dell’umanità, soprattutto quando parliamo di infanzia. I bambini devono nascere e crescere nella pace, devono divertirsi e viversi l’istruzione come esseri umani liberi.
Spesso la povertà è considerata origine dello sfruttamento minorile…
Il fatto che la povertà sia causa e perpetuazione del lavoro minorile è solo ed assolutamente un mito. È in realtà il lavoro minorile a permettere alla  povertà e all’analfabetismo di continuare ad esistere. Non possiamo più nasconderci dietro alla scusa della povertà come origine dello sfruttamento minorile e del furto dell’infanzia dei nostri bambini. È inaccettabile.
Che cosa le ha fatto scegliere di intraprendere questo lavoro?
Tutto è nato dalla compassione, quando avevo cinque o sei anni. Per la prima volta, nella mia città natale ho visto un bambino che aveva la mia stessa età lavorare con il padre; proprio davanti alla mia scuola. Provavo un sentimento contraddittorio: da una parte io ero contento e studiavo con gioia, dall’altra c’era lui che, invece, lottava per la sua infanzia e per il suo sostentamento. Chiesi ai miei genitori e al mio maestro come fosse possibile e mi diedero la stessa risposta: sono bambini poveri e quindi lavorano. Non mi convinsero. Un giorno chiesi al padre di quel bambino, come mai non mandasse il figlio a scuola; mi guardò come se gli stessi facendo una domanda assurda e mi rispose: noi siamo nati per lavorare. Rimasi stupito ed attonito. Perché qualcuno era nato per lavorare mentre io, invece, me ne andavo a scuola sereno? Queste domande mi hanno sempre accompagnato e il non aver trovato una risposta convincente mi ha portato a iniziare a combattere.

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