lunedì 2 febbraio 2015

AUNG SAN SUU KYI


«Quelli di noi che hanno deciso di lavorare per la democrazia in Birmania, lo hanno fatto convinti che il pericolo di difendere apertamente i diritti umani fondamentali in uno stato repressivo fosse preferibile alla sicurezza di una vita sottomessa in servitù…» ( Aung San Suu Kyi)

Aung San Suu Kyi (Rangoon, 19 giugno 1945) è un’attivista politica birmana impegnata da molti anni nella difesa dei diritti umani del suo Paese, oppresso da una rigida dittatura militare.
Figlia del generale Aung San, considerato in Birmania un eroe nazionale perché l’aveva resa indipendente dall’Inghilterra nel 1947, e di Daw Khin Kyi, unica ambasciatrice donna della Birmania, Suu Kyi è nata nella capitale, Rangoon, nel 1945. Fin d’adolescente, dopo la morte del padre vittima di un attentato, segue la madre nel suo lavoro all’estero.
 «Per me mia madre rappresentava integrità, coraggio e disciplina. Aveva un cuore molto generoso. Ma la sua vita non era stata facile. Penso che sia stato molto arduo per lei coniugare famiglia e lavoro dopo la morte di mio padre..»
Dal 1964 al 1967 studia Filosofia, Politica ed Economia all’Università di Oxford, in Inghilterra, e dal 1969 lavora a New York presso le Nazioni Unite. Nel 1972 sposa Michael Aris, professore di letteratura tibetana a Oxford, da cui ha due figli.
Il 31 marzo 1988 un’improvvisa telefonata segna il suo futuro: la avvisano che la madre è gravemente malata. Suu Kyi rientra in Birmania dopo moltissimi anni di assenza dal suo Paese e da quel giorno non torna più in Occidente.
La Birmania è da anni governata da una dittatura militare istituita dal generale Saw Maung.
Nel settembre 1988 i militari sparano su una folla immensa (la rivolta 8888)  che manifesta pacificamente contro la dittatura e uccidono migliaia di persone. E’ l’evento che muove Suu Kyi ad entrare in politica e unirsi alle proteste della sua gente verso un regime che l’ha privata di ogni libertà, di ogni diritto, l’ha ridotta in miseria e punisce i dissidenti con la tortura, i lavori forzati, il carcere, la morte.
Con un discorso memorabile alla pagoda di Shwedagon, davanti a mezzo milione di persone, il 26 agosto del 1988, Suu Kyi entra in politica: «In quanto figlia di mio padre, non potevo restare indifferente di fronte a tutto ciò che sta accadendo.» Lancia quella che definisce la “seconda battaglia per l’indipendenza nazionale” e fonda la National League for Democracy (NLD); la sua casa diventa il quartier generale di coordinamento del partito e della “lotta non-violenta” contro la dittatura.
Suu Kyi diventa capo dell’opposizione con l’obiettivo di contrastare la dittatura militare dello SLORC (Consiglio di Stato per la restaurazione della legge e dell’ordine). Lo SLORC detiene il potere tramite la legge marziale, gli arresti arbitrari e la detenzione di persone sospette.
Nel luglio del 1989, lo SLORC le offre la possibilità di lasciare il Paese, se vuole, a condizione di rimanere in esilio, ma lei è determinata a restare in Birmania e così viene messa agli arresti domiciliari per aver denunciato che lo SLORC è controllato dal generale Ne Win che, sebbene in pensione, comanda il Paese.
Tuttavia appena libera la donna tornerà vicina al suo popolo, ascolterà la voce della sua gente, vorrà sapere dei suoi bisogni, scriverà, terrà i discorsi settimanali o “della domenica” presso la sua casa di Rangoon. Esorterà ad avere fiducia, a credere nella forza dell’amore, del bene, nella nonviolenza, a considerare necessaria la vittoria finale di questi valori perché propri dell’uomo, della sua natura, della sua civiltà.
Nel maggio 1990 la NLD vince le elezioni ottenendo l’80% dei seggi, ma lo SLORC annulla i risultati delle votazioni e ricorre ad ogni forma di violenza materiale e morale; continua con le sue gravi misure contro i cittadini e in particolare contro gli esponenti del partito democratico.
Per tentare di mettere a tacere le manifestazioni a favore della democrazia, l’esercito birmano uccide per le strade circa 3.000 persone tra studenti, monaci buddisti e civili. E questo nonostante i richiami che da tanti governi stranieri giungono ai capi birmani invitandoli ad una politica più conciliante.
Nel 1991, Sempre durante gli arresti domiciliari, Aung San vince i premi Rafto, Sacharov (per la libertà di pensiero) e il Nobel per la Pace, e con i soldi del premio crea un fondo per la salute e l’istruzione a favore del popolo birmano.
Nel 1995 le vengono revocati gli arresti, ma rimane comunque in uno stato di semilibertà. Non può lasciare il Paese ed i suoi familiari, che sono rimasti in Inghilterra, non possono visitarla; nemmeno suo marito, quando gli viene diagnosticato il cancro, potrà andare in Birmania e morirà senza rivederla.
La Birmania continua la sua politica di militarizzazione e, da qualche tempo, Suu Kyi chiede di boicottare il turismo nel suo Paese. Suu Kyi ritiene, infatti, che il turismo e gli investimenti stranieri aiutino il governo militare a conservare il potere.
A 56 anni Suu Kyi continua a battersi, in stile gandhiano, per la democrazia, il rispetto dei diritti umani e la nonviolenza. I suoi modelli di riferimento sono sempre stati Gandhi e suo padre.
Dal primo ha appreso la dottrina della nonviolenza; dal secondo l’umiltà e l’impegno per il proprio popolo. Nel suo libro “Libera dalla paura”, questa donna coraggiosa afferma che non è il potere che corrompe, bensì la paura. Ecco perché per rispondere alla violenza del governo si è impegnata ad agire senza paura. Tuttora, Suu Kyi non ha paura di rinunciare, pur dolorosamente, alla lontananza dagli affetti più cari, pur di portare avanti la lotta per la libertà del suo Paese.
Suu Kyi si presenta come un chiaro modello e come simbolo della speranza e di una forza più grande del potere armato.
Nel 2007 riesce a fare una breve apparizione al cancello della sua residenza e con le mani giunte rende omaggio ai monaci che marciano per la libertà e i diritti umani. Nonostante il regime militare spari sui dimostranti, la folla di monaci affronta coraggiosamente i militari e continua a protestare pacificamente. Migliaia di persone vengono arrestate, interrogate e torturate.
Il 13 novembre 2010, finalmente, Aung San Suu Kyi viene liberata e dopo 10 anni ha potuto sentire al telefono suo figlio più piccolo, ormai 33enne ed il 23 novembre, finalmente rivederlo.
Il 1° aprile del 2012, Aung San Suu Kyi è stata eletta in Parlamento con l’82 % delle preferenze e il suo partito (la Lega Nazionale per la Democrazia) ha conquistato 43 dei 45 seggi in palio.
Nei prossimi mesi la giunta militare che da anni guida la Birmania deciderà se Aung San Suu Kyi, leader dell'opposizione, potrà candidarsi alle elezioni presidenziali del 2015.

Film consigliato: “The lady – L’amore per la libertà” (2011) di Luc Besson


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