mercoledì 7 gennaio 2015

MALALA


« Non mi importa di dovermi sedere sul pavimento a scuola. Tutto ciò che voglio è istruzione. E non ho paura di nessuno. » (Malala Yousafzai)

La storia di Malala è una storia semplice ma straordinaria. È la storia di una bambina che vuole andare a scuola.
Malala Yousafzai (12 luglio 1997) è una studentessa e attivista pakistana. È la più giovane vincitrice del Premio Nobel per la Pace, famosa per il suo impegno per l'affermazione dei diritti civili e per il diritto all'istruzione delle donne in Pakistan.
Nata a Mingora, nella valle di Swat (Pakistan), Malala cresce in una famiglia di musulmani sunniti di etnia pashtun. Il suo nome significa letteralmente "colpita dal dolore" e le viene dato in onore della poetessa-guerriera afgana Malalai di Maiwand.
Il padre, poeta e attivista, fonda diverse scuole e la coinvolge sin da piccola nella battaglia per l'educazione.
Nel 2009 i talebani riescono a imporre diversi divieti, grazie a un tacito consenso del governo che, con lo sguardo rivolto altrove, utilizza in modo differente i fondi ricevuti dagli americani per combattere i talebani. Tutte le scuole femminili vengono chiuse, anche quella gestita dal padre di Malala. Alcune vengono addirittura rase al suolo.
Tutto diventa proibito, la lista delle azioni vietate dai talebani si allunga di giorno in giorno.
E’ proibito ascoltare la radio, ballare, fare gite e divertirsi, andare al mercato a comperare oggetti personali. Anche una famiglia osservante come quella di Malala diventa una famiglia di infedeli per il solo fatto di sostenere l'educazione femminile.
Malala si è impegnata da giovanissima contro l’editto dei Talebani che avevano vietato l’istruzione alle donne nella città di Mingora, nella valle dello Swat al confine tra Pakistan e Afghanistan.
La giovanissima attivista è diventata celebre grazie al blog curato per la Bbc in cui documentava la repressione talebana. Fu proprio il padre di Malala a proporre sua figlia come contatto per un giornalista che raccontava la condizione femminile in Afghanistan sul blog di una televisione inglese.
Malala racconta la guerra vista dai piccoli: la natura distrutta dalle bombe, il divieto di uscire per strada, la nostalgia per le feste di paese e le passeggiate dopo cena. L’esultanza delle studentesse quando il preside, con qualche insegnante coraggioso, decide di sfidare l’editto degli estremisti islamici e richiama tutti a scuola. Nel piccolo diario quotidiano che Malala manda al sito della Bbc, la voce di una ragazzina di 15 anni trasmette in diretta mondiale la felicità che dà tornare liberi.
Liberi di crescere, di imparare a difendersi con la conoscenza.


Il 9 ottobre 2012 è stata gravemente ferita alla testa e al collo da uomini armati saliti a bordo del pullman scolastico su cui lei tornava a casa da scuola.
Il miliziano salì sul mezzo e domandò: "Chi è Malala?". Nessuno rispose, ma gli sguardi si concentrarono su quella bambina che, da anni, raccontava come una fatwa(sentenza) impedisse alle bambine e alle ragazze di studiare. Insieme a lei furono ferite due compagne di scuola in modo meno grave. Le condizioni di Malala, invece, furono subito giudicate serie.
Ricoverata nell'ospedale militare di Peshawar è sopravvissuta all'attentato dopo la rimozione chirurgica dei proiettili.
La ragazza è stata in seguito trasferita in un ospedale di Birmingham che si è offerto di curarla.
La giovane pakistana è stata costretta a stabilirsi in Inghilterra dove continua i suoi studi, senza poter ritornare in patria per paura di essere attaccata di nuovo dai Talebani.
Il 10 ottobre 2014 ha ricevuto il premio Nobel per la pace assieme all'attivista indiano Kailash Satyarthi, diventando con i suoi diciassette anni la più giovane vincitrice di un premio Nobel.
La motivazione del Comitato per il Nobel norvegese è stata: “per la loro lotta contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all'istruzione”


Ha scritto un libro, le sue memorie intitolate 'I'm Malala', uscito in occasione del primo anniversario dell'attentato.
"Voglio raccontare la mia storia, ma sarà anche la storia di 61 milioni di bambini che non possono ottenere l'educazione" ha detto Malala parlando del suo libro.
Storico il suo discorso alle Nazioni Unite nel 2013, dove in occasione del suo compleanno, il 12 luglio, ha rivolto un messaggio ai Talebani, che "pensavano di zittirmi con una pallottola, ma non ci sono riusciti". Un appello al mondo: "Un bambino, un insegnante e un libro possono cambiare il mondo. Impugniamo i nostri libri e le nostre penne, sono loro le nostre armi più potenti - ha aggiunto, parlando ad alcune centinaia di studenti presenti all'Assemblea – “Il 9 ottobre mi hanno sparato al lato sinistro della testa e pensavano che le pallottole potessero zittirmi ma non ci sono riusciti".
Malala non ha mai smesso di credere nella scuola, nell’istruzione, a dispetto dell’ arretratezza della regione in cui è cresciuta e delle minacce a cui è stata sottoposta.
Questa sicurezza sarebbe ammirevole in qualunque individuo in circostanze analoghe, lo è ancora di più in una persona così giovane, una ragazza che aveva quindici anni quando è stata attaccata e ne ha appena diciassette oggi. Malala ha compreso che l’educazione scolastica è la soluzione a molti problemi. La sua tenacia intellettuale è straordinaria.
La libertà è un bene che noi diamo per scontato, un diritto acquisito, e non ci rendiamo conto invece che non tutti sono in grado di goderne, ed è molto più facile perderlo che acquisirlo.
Malala ha istituito un fondo a suo nome destinato a sostenere l'istruzione femminile in Pakistan.
La diciassettenne pakistana, la più giovane vincitrice del Premio Nobel, ha viaggiato in molti Paesi e ha incontrato il presidente Barack Obama. Nella loro conversazione Malala ha suggerito al presidente americano che invece di mandare droni nei Paesi del terzo mondo farebbe meglio a inviare libri e penne.

Ha anche viaggiato in Nigeria per mantenere vivo l'interesse globale nella triste situazione delle liceali rapite dal gruppo terroristico Boko Haram la cui ideologia rispecchia quella dei Talebani, specialmente nel trattamento delle giovani donne.

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