sabato 29 novembre 2014

NELSON MANDELA




Nelson Mandela nacque il 18 Luglio 1918 nella famiglia reale dei Thembu, una tribù di etnia Xhosa che viveva in una fertile valle del Capo Orientale (Sudafrica), in un villaggio di capanne bianche.
Sua madre lo partorì lungo la riva di un fiume.
Il suo nome in lingua Xhosa, Rolihlahla, ha un significato profetico: “attaccabrighe”.
Sarà chiamato Nelson solo quando inizierà a frequentare il collegio coloniale britannico di Healdtown. Un nome assegnato dall’insegnante, che sceglieva nomi inglesi a caso per i ragazzini sudafricani, al posto degli impronunciabili appellativi tribali. Forse il nome di Mandela è ispirato all’ammiraglio britannico Lord Nelson. Gli anni 30’ sono stati un periodo difficile per il Sudafrica, con deportazioni, leggi restrittive per gli spostamenti interni e altri provvedimenti di segregazione. Mandela frequentava l’Università di Fort Hare quando emerse la sua forza di volontà e la sua indignazione per l’ingiustizia: fu espulso dall’Università nel 1940 per aver guidato una manifestazione studentesca insieme a Oliver Tambo. Era già chiaro che nessuno era in grado di dire a questo giovane come doveva comportarsi.
Tornato al suo villaggio, quando scoprì che il suo capotribù aveva deciso che era giunto per lui il tempo di sposare una ragazza del suo rango e che era già stata pagata la dote, Nelson Mandela scappò a Johannesburg.
A 22 anni trovò lavoro come guardiano alle Miniere della Corona di Johannesburg.
In contrasto con le sue nobili aspettative, gli uffici della miniera erano baracche di lamiera arrugginita in un’area brutta e spoglia, con lo stridulo rumore dei montacarichi, delle trivelle, e i remoti boati della dinamite. Il contrasto rispetto alla sua tranquilla vita di campagna deve essere stato scioccante, e Mandela verificò rapidamente la realtà della miseria opprimente e dello sfruttamento disumano dei suoi compagni lavoratori.
La politica cominciò a giocare un ruolo molto significativo nella sua vita. Mossi dall’umiliazione e dalle sofferenze della loro gente, e offesi dalle leggi sempre più ingiuste e intollerabili, nel 1944, Nelson Mandela, Walter Sisulu e Oliver Tambo insieme ad altri costituirono la Lega Giovanile dell’ANC (African National Congress), e in pochi anni Mandela ne divenne presidente.
Con ambizione e determinazione, completò i suoi studi di legge all’Università del Witwatersrand, e con Tambo avviò il primo studio legale per le persone di colore. Così cominciò la pericolosa e appassionata vita totalmente dedicata alla lotta contro i mali dell’apartheid (vuol dire “separazione”) cioè la politica di segregazione razziale, rimasta in vigore fino al 1993. Chiunque si opponeva al sistema dell’apartheid subiva conseguenze penali. Le Nazioni Unite, riunite in assemblea generale nel  1973, dichiararono l’apartheid un crimine internazionale e nel 1976 fu inserito nella lista dei crimini contro l’umanità.
Mandela si dedicò anima e corpo a condurre una campagna non violenta di disobbedienza civile, aiutando ad organizzare scioperi, marce di protesta e manifestazioni, incoraggiando la gente a rifiutarsi di obbedire alle leggi discriminatorie e ad opporsi al potere razzista.
La rabbia della gente cresceva e si scatenava la repressione.
Mandela fu arrestato per la prima volta nel 1952. Fu assolto, ma seguirono successive vessazioni, arresti e detenzioni, culminati nell’infame Processo di Treason del 1958.
Nel 1962 Mandela fu arrestato di nuovo per alto tradimento e fu condannato a cinque anni di carcere. Li scontò sapendo di non essere colpevole di alcun crimine: era divenuto un criminale per la legge, non per ciò che aveva fatto ma per quello in cui credeva. Mentre scontava la condanna, fu di nuovo accusato di sabotaggio al processo di Rivonia. La sua eloquente e appassionante arringa, durata 4 ore, finì con le famose parole:"Sono pronto a pagare la pena anche se so quanto triste e disperata sia la situazione per un africano in un carcere di questo Paese. Sono stato in queste prigioni e so quanto forte sia la discriminazione, anche dietro le mura di una prigione, contro gli africani... In ogni caso queste considerazioni non distoglieranno me né altri come me dal sentiero che ho intrapreso. Per gli uomini, la libertà nella propria terra è l'apice delle proprie aspirazioni. Niente può distogliere loro da questa meta. Più potente della paura per l'inumana vita della prigione è la rabbia per le terribili condizioni nelle quali il mio popolo è soggetto fuori dalle prigioni, in questo Paese... non ho dubbi che i posteri si pronunceranno per la mia innocenza e che i criminali che dovrebbero essere portati di fronte a questa corte sono i membri del governo".
Nel 1964 Nelson Mandela fu giudicato colpevole di sabotaggio e alto tradimento e fu condannato con i suoi compagni alla punizione suprema: ergastolo a Robben Island.
All’età di 46 anni, Nelson Mandela entrò per la prima volta nella piccola, angusta cella nella Sezione B, che sarebbe stata la sua casa per molti anni a venire. C’erano una piccola finestra con le sbarre e una porta spessa di legno coperta da una inferriata di metallo. La cella era così piccola che il prigioniero poteva percorrerne la lunghezza in tre passi, e quando si coricava non aveva spazio per distendersi completamente. Robben Island era senza dubbio il luogo più duro e spietato del sistema penale dell’apartheid sudafricano. Cominciò così una nuova e diversa battaglia, quella per migliorare le condizioni di prigionia, terribilmente ingiuste e disumane.
Passano più di vent'anni e, malgrado il grande uomo sia costretto alla segregazione carceraria, lontano dagli occhi di tutti e dalle luci dell'opinione pubblica, la sua immagine e la sua statura crescono sempre di più nell'opinione pubblica e per gli osservatori internazionali.
Il regime tiene Mandela in prigione ma è sempre lui il simbolo della lotta e la testa pensante della ribellione.
Nel 1990 su pressioni internazionali e in seguito al mancato appoggio degli Stati Uniti al regime segregazionista sudafricano, Nelson Mandela viene liberato.
Nel 1991 è eletto presidente dell'ANC, movimento africano per la lotta all'apartheid. Nel 1993 vince il premio Nobel per la pace mentre l'anno dopo, durante le prime elezioni libere del suo Paese (le prime elezioni in cui potevano partecipare anche le persone di colore), viene eletto Presidente della Repubblica del Sudafrica e capo del governo. Resterà in carica fino al 1998.

Nel giugno 2004, all'età di 85 anni, ha annunciato il suo ritiro dalla vita pubblica per passare il maggior tempo possibile con la sua famiglia. Il 23 luglio dello stesso anno, con una cerimonia tenutasi a Orlando (Soweto), la città di Johannesburg gli ha conferito la più alta onorificenza cittadina, il "Freedom of the City", una sorta di consegna delle chiavi della città. Nelson Mandela muore all'età di 95 anni il giorno 5 dicembre 2013.

lunedì 24 novembre 2014

MARTIN LUTHER KING




« Ho un sogno: che un giorno questa nazione si sollevi e viva pienamente il vero significato del suo credo: "Riteniamo queste verità di per sé evidenti: che tutti gli uomini sono stati creati uguali" »
(Martin Luther King, 28 agosto 1963, Washington, discorso al Lincoln Memorial durante la marcia per lavoro e libertà)

Martin Luther King è diventato il simbolo della lotta contro la segregazione razziale.
Vincitore del premio Nobel per la Pace nel 1964, fu assassinato nel 1968 nel pieno della sua battaglia per i diritti civili.
Il suo nome viene accostato per la sua attività di pacifista a quello di Gandhi, il leader della non violenza della cui opera King è stato un appassionato studioso.

Nel Sud razzista
Martin Luther King nacque ad Atlanta, in Georgia, nel 1929. Terminati gli studi teologici e filosofici, nel 1953 accettò l’incarico di pastore della chiesa battista di Montgomery, in Alabama.
A quell’epoca gli afroamericani erano vittime della segregazione razziale: era vietato loro l’accesso a molte scuole, università, club sportivi, centri di ricreazione. Nelle strade e nelle piazze delle città si vedevano dappertutto cartelli con la scritta «solo per bianchi».
Infatti, sebbene la Costituzione americana sancisse l’uguaglianza di tutti i suoi cittadini di fronte alla legge, le cose nella realtà andavano molto diversamente, soprattutto negli Stati del Sud: gli afroamericani non votavano, subivano maltrattamenti da parte della polizia e condanne ingiuste da giurie popolari razziste.
Tutto iniziò su un autobus
Il 1° dicembre 1955 Rosa Parks era seduta su un autobus e stava tornando a casa. I posti erano tutti occupati e quando il conducente chiese agli afroamericani di alzarsi per fare posto ai bianchi rimasti in piedi Rosa non si alzò. Per questo fu trascinata via dalla polizia e arrestata per violazione delle norme che regolavano la disposizione razziale dei posti a sedere sugli autobus. Nel giro di poche ore King mise a disposizione la sua chiesa per organizzare la protesta: fu deciso il boicottaggio dei trasporti pubblici, una forma di lotta pacifica, ispirata agli insegnamenti di Gandhi.
Per oltre un anno gli abitanti afroamericani di Montgomery non salirono sugli autobus e si recarono al lavoro arrangiandosi come potevano; King fu minacciato e arrestato ma alla fine la battaglia fu vinta e la Corte Suprema statunitense dichiarò illegale la segregazione sui mezzi di trasporto.

«Io ho un sogno»
Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta King divenne il leader indiscusso del movimento per i diritti civili.Organizzò manifestazioni pacifiche e il boicottaggio di quegli esercizi commerciali dove gli afroamericani venivano trattati ingiustamente (grandi magazzini, tavole calde). Nell’estate del 1963 un corteo di oltre 200.000 persone invase il centro di Washington invocando la legge sui diritti civili. La celeberrima "marcia per il lavoro e la libertà" di cui oltre 80.000 partecipanti erano bianchi e marciavano insieme agli altri cantando black and white together («neri e bianchi insieme»). King fu l’ultimo degli oratori e il suo discorso fu accolto da applausi scroscianti: «Io ho un sogno: – egli disse – che i miei quattro figli piccoli potranno vivere un giorno in una Nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per le qualità del loro carattere».

Un colpo di fucile
Il 1964 fu un anno importante. A febbraio, dopo un duro scontro, venne approvata la legge sui diritti civili: erano vietate le discriminazioni per l’iscrizione ai registri elettorali ed era sancito l’obbligo di ammettere tutti i cittadini, senza distinzioni di razza, a qualsiasi scuola o esercizio pubblico (ristoranti, alberghi, campi sportivi, musei). Negli Stati del Sud – Alabama e Mississippi –  gli afroamericani venivano ancora picchiati e uccisi dai razzisti bianchi del Ku-Klux Klan, un’organizzazione semiclandestina responsabile di numerosi atti di violenza e uccisioni. L’uguaglianza era un obiettivo ancora lontano da raggiungere.
Il 4 aprile 1968 Martin Luther King fu assassinato a Memphis, nel Tennessee, con un colpo di fucile mentre era affacciato al balcone di un albergo.

L’esempio di Gandhi

Ispirato dal successo dell'attivismo non-violento che aveva ottenuto Gandhi, King andò in India a visitare la famiglia del Mahatma nel 1959.
Il viaggio indiano toccò nel profondo King, accrescendo la sua conoscenza sul concetto di resistenza nonviolenta ed il suo impegno nella lotta per i diritti civili negli Stati Uniti.
In un discorso radiofonico fatto durante la sua ultima sera in India, King si espresse così: "Da quando sono in India, sono sempre più convinto di prima che il metodo della resistenza non-violenta è l'arma più potente a disposizione degli oppressi nella loro lotta per la giustizia e la dignità umana. Veramente il Mahatma Gandhi ha incarnato nella sua vita principi universali.. "

Martin Luther King, in America, come Gandhi in India, organizzò una protesta pacifica, senza armi, soprattutto basandosi sul dialogo, ottenendo anch'egli grandi risultati. Le campagne di disobbedienza civile portarono lo stesso King ad essere più volte imprigionato. King applicò i principi della nonviolenza riscuotendo grandi successi, grazie anche ad una meticolosa e strategica preparazione dei metodi, dei luoghi e dei momenti di protesta, in modo da potenziare la loro visibilità e il loro impatto mediatico.

SITUAZIONE ATTUALE DELL'INDIA




L'India, ufficialmente Repubblica dell'India, è uno Stato dell'Asia meridionale, con capitale Nuova Delhi. La Costituzione indiana riconosce ben 23 lingue ufficiali.
Sede di antichissime civiltà, l'India è stata per gran parte della sua storia un Paese profondamente frammentato e continuamente esposto all'invasione e all'occupazione di popoli stranieri.
Soggetta alla colonizzazione britannica dai primi dell'Ottocento è divenuto indipendente nel 1947 grazie alla resistenza non-violenta guidata da Gandhi. Lo sfruttamento delle risorse locali, il progressivo sradicamento delle culture tradizionali e il carattere talora brutalmente repressivo del dominio imperiale alimentarono crescenti richieste di autonomia.
L'India è il secondo stato più popoloso del mondo.  La maggior parte della popolazione è di religione indù ed è presente una vasta comunità musulmana.
Società multilingue e multietnica, l'India è altresì ricca sul piano naturale, con un'ampia diversità di fauna selvatica e di habitat protetti.
Nonostante l'economia del Paese sia tra quelle a più rapida crescita al mondo, la vasta massa della popolazione rurale è povera e analfabeta.
L'India attuale affronta diversi gravi problemi: la sovrappopolazione, il degrado ambientale, la povertà, le tensioni etniche e religiose.
Nonostante i progressi degli ultimi trenta anni, più di due milioni di bambini muoiono ogni anno per infezioni che potrebbero essere prevenute. L'India è il Paese al mondo in cui si verifica il più alto numero di decessi fra i bambini tra 0 a 5 anni.
Si stima che siano 12 milioni i bambini lavoratori nel Paese. La maggior parte di loro non hanno mai frequentato la scuola. Il numero di bambini di strada è molto elevato.

Nonostante il permanere di enormi sacche di arretratezza, l'India ha conosciuto un rilevante sviluppo nei settori delle tecnologie più avanzate, dell'informatica e delle comunicazioni. Si tratta con ogni probabilità di uno sviluppo destinato a consolidarsi nei prossimi decenni e, in prospettiva, a mutare in modo significativo il profilo tradizionale di questo Paese di antichissima storia.

VANDANA SHIVA


« Noi possiamo sopravvivere come specie solo se viviamo in accordo alle leggi della biosfera. La biosfera può soddisfare i bisogni di tutti se l'economia globale rispetta i limiti imposti dalla sostenibilità e dalla giustizia. Come ci ha ricordato Gandhi: "La Terra ha abbastanza per i bisogni di tutti, ma non per l'avidità di alcune persone". » (Vandana Shiva)
Vandana Shiva (Dehra Dun, 5 novembre 1952) è un'attivista politica e ambientalista, combatte per cambiare pratiche e paradigmi nell'agricoltura e nell'alimentazione.
Nel 1993 ha ricevuto il Right Livelihood Award, detto il Premio Nobel alternativo.
Per promuovere il suo pensiero viaggia molto nel mondo. Il 20 gennaio 2008 ha partecipato alla trasmissione Parla con me di Serena Dandini. Il 23 maggio 2010 ha partecipato alla trasmissione Che tempo che fa di Fabio Fazio. Il 9 aprile 2013 ha partecipato alla trasmissione Ballarò.
Il 10 aprile è stata intervistata da Rai News 24. Tra le sue battaglie, che l'hanno resa famosa anche in Europa, vi è quella contro gli OGM e la loro introduzione in India.
Lei sostiene che il ricorso diffuso alle monocolture, pur garantendo rese agricole elevate, altera gli equilibri del territorio e costringe ad usare dosi elevate di insetticidi, che provocano la scomparsa di insetti indispensabili per l'impollinazione delle piante (ad esempio api e farfalle).
Secondo la Shiva, la ricchezza di specie animali e vegetali presenti nel territorio (la biodiversità), è minacciata, soprattutto in campo agricolo, dalle multinazionali che incoraggiano i contadini a coltivare raccolti a cosiddetto "alto rendimento" impiantando monocolture a danno delle centinaia di varietà di coltivazioni tradizionali che stanno scomparendo.
E’ la fondatrice del progetto Navdanya nato per proteggere la bio diversità, difendere i contadini e promuovere l'agricoltura biologica.
La priorità di Navdanya è il benessere dei piccoli produttori rurali marginalizzati.
Navdanya significa ‘nove semi’, e indica la reintroduzione di antiche tecnica di semina di varietà diverse nello stesso campo per aumentare la fertilità, tecniche tradizionali abolite spesso per far posto alla produzione intensiva di prodotti da esportazione, si veda per l'India il riso.
In India, ancor di più che in altre zone del Pianeta, le foreste sono il simbolo di una vitalità innata. 


Le donne che abbracciano gli alberi lo sanno bene. Il loro impegno ha avuto inizio nei primi decenni del 20esimo secolo.

La parola Chipko significa "abbraccio". Il Movimento Chipko è uno dei fenomeni più esemplari per la difesa delle foreste. Con il proprio corpo queste donne hanno difeso gli alberi delle foreste, fonte di vita e di sostentamento per la loro società. La deforestazione e il taglio degli alberi per il rifornimento di legname stavano provocando dei veri e propri disastri naturali, come frane, smottamenti e inondazioni. Fiumi e fonti stavano scomparendo, costringendo le donne a camminare più a lungo per andare alla ricerca di acqua. Ecowarriors, o Ecoguerriere. Le ha battezzate così Vandana Shiva, l'ecologista indiana che ormai da decenni segue molto da vicino l'impegno femminile per il Pianeta. Sono donne coraggiose che da anni, in diverse parti del mondo, lottano per difendere il Pianeta, le foreste e le popolazioni dall'operato delle multinazionali, dai pesticidi e dagli Ogm. 

lunedì 17 novembre 2014

MAHATMA GANDHI



Importante guida spirituale, lo si conosce soprattutto col nome di Mahatma (grande anima) è un riconoscimento pubblico che, in modo del tutto informale e spontaneo, viene attribuito dal popolo a coloro che riconosce istintivamente come persone eccezionali dal punto di vista delle doti spirituali e intellettuali.  Un altro suo soprannome è Bapu, che in hindi significa "padre".
Con le sue azioni Gandhi ha ispirato movimenti di difesa dei diritti civili e personalità quali Martin Luther King e Nelson Mandela.
Gandhi è il fondatore della nonviolenza e il padre dell’indipendenza indiana.
Nasce il 2 ottobre 1869 a Porbandar, una città di pescatori nell'attuale Stato di Gujarat, in India.
La sua famiglia appartiene alla comunità modh, gruppo tradizionalmente dedito al commercio: il nome Gandhi significa infatti "droghiere". Dopo aver studiato nelle Università di Ahmrdabad e Londra ed essersi laureato in giurisprudenza, esercita brevemente l’avvocatura a Bombay.
Nel 1893 si reca in Sud Africa con l’incarico di consulente legale per una ditta indiana e vi rimane per 21 anni. Qui si scontra con una realtà terribile, in cui migliaia di immigrati indiani sono vittime della segregazione razziale. L’indignazione per le discriminazioni razziali subite dai suoi connazionali (e da lui stesso) da parte delle autorità britanniche, lo spingono alla lotta politica.
Il Mahatma si batte per il riconoscimento dei diritti dei suoi compatrioti e dal 1906 lancia, a livello di massa, il suo metodo di lotta basato sulla resistenza nonviolenta - “satyagraha”: una forma di non-collaborazione radicale con il governo britannico, concepita come mezzo di pressione di massa. Gandhi giunge all’uguaglianza sociale e politica tramite le ribellioni pacifiche e le marce. Alla fine, infatti, il governo sudafricano attua importanti riforme a favore dei lavoratori indiani (eliminazione di parte delle vecchie leggi discriminatorie, riconoscimento ai nuovi immigrati della parità dei diritti e validità dei matrimoni religiosi).
Nel 1915 Gandhi torna in India, dove circolano già da tempo fermenti di ribellione contro l’arroganza del dominio britannico (in particolare per la nuova legislazione agraria, che prevedeva il sequestro delle terre ai contadini in caso di scarso o mancato raccolto, e per la crisi dell’artigianato). Egli diventa il leader del Partito del Congresso, partito che si batte per la liberazione dal colonialismo britannico.
- 1919: prima grande campagna satyagraha di disobbedienza civile, che prevede il boicottaggio delle merci inglesi e il non-pagamento delle imposte. Il Mahatma subisce un processo ed è arrestato.
- 1921: seconda grande campagna satyagraha di disobbedienza civile per rivendicare il diritto all’indipendenza. Incarcerato, rilasciato, Gandhi partecipa alla Conferenza di Londra sul problema indiano, chiedendo l’indipendenza del suo Paese.
Nel Champaran, un distretto del Bihar, organizza la disobbedienza civile di decine di migliaia di contadini senza terra che sono costretti a coltivare l'indigofera, la pianta da cui si ricava l'indaco (un colorante di origine vegetale per tingere i tessuti), e altri prodotti di esportazione invece di coltivare gli alimenti necessari alla loro sussistenza. Oppressi dai grandi proprietari britannici, ricevono dei magri compensi, che li riducono in condizioni di povertà estrema. In poco tempo Gandhi diventa il leader del movimento anticoloniale indiano.
- 1930: terza campagna di resistenza. La marcia del sale: disobbedienza contro la tassa sul sale (la più iniqua perché colpiva soprattutto le classi povere). La campagna si allarga con il boicottaggio dei tessuti provenienti dall’estero. Gli inglesi arrestano Gandhi, sua moglie e altre 50.000 persone.

Gandhi e l'arcolaio a ruota

L'arcolaio diventa simbolo dell''indipendenza del suo Paese, strumento con il quale veniva intrecciato a mano il tessuto indiano chiamato khadi. Gandhi ha fatto rinascere questa tradizione, quella di filare il cotone con le mani. E ne ha fatto un simbolo, quello dell'autosufficienza.
Gli inglesi portavano in Inghilterra le stoffe realizzate in India e le rivendevano a prezzo altissimo. Gandhi ha bloccato questo processo, ha unificato l'India con il filo dell'arcolaio.
Spesso incarcerato negli anni successivi, la “Grande Anima” risponde agli arresti con lunghissimi scioperi della fame. All’inizio della Seconda Guerra Mondiale, Gandhi decide di non sostenere l’Inghilterra se questa non garantisce all’India l’indipendenza. Il governo britannico reagisce con l’arresto di oltre 60.000 oppositori e dello stesso Mahatma, che è rilasciato dopo due anni.
Il 15 agosto 1947 l’India conquista l’indipendenza. Gandhi, però, vive questo momento con dolore, pregando e digiunando. Il subcontinente indiano è diviso in due stati, India e Pakistan, la cui creazione sancisce la separazione fra indù e musulmani e culmina in una violenta guerra civile che costa, alla fine del 1947, quasi un milione di morti e sei milioni di profughi.
Un fanatico indù lo uccide il 30 gennaio 1948, durante un incontro di preghiera.

Il pensiero di Gandhi si basa su tre punti fondamentali:

  •  Autodeterminazione dei popoli: Gandhi riteneva fondamentale il fatto che gli indiani potessero decidere come governare il loro Paese, perché la miseria nella quale si trovava dipendeva dallo sfruttamento delle risorse da parte dei colonizzatori britannici.
  •  Nonviolenza:  Il Mahatma rifiuta la violenza come strategia di lotta in quanto la violenza suscita solamente altra violenza. Di fronte ai violenti e agli oppressori, però, non è passivo, anzi. Egli propone una strategia che consiste nella resistenza passiva, il non reagire, in altre parole, alle provocazioni dei violenti, e nella disobbedienza civile, vale a dire il rifiuto di sottoporsi a leggi ingiuste.
  • Tolleranza religiosa”… il mio più intimo desiderio” dice Gandhi “… è di realizzare la fratellanza … tra tutti gli uomini, indù, musulmani, cristiani, parsi e ebrei” Gandhi sognava la convivenza pacifica e rispettosa dei tantissimi gruppi etnici e delle diverse professioni religiose presenti in India. Queste erano delle ricchezze che dovevano convivere e non dividere politicamente la nazione.


Il film più famoso sulla vita di Gandhi è il pluripremiato Gandhi (1982), vincitore di 8 Premi Oscar, tra cui miglior film, diretto da Richard Attenborough e interpretato da Ben Kingsley, entrambi premiati con una statuetta (miglior regista e miglior attore).