«Quelli
di noi che hanno deciso di lavorare per la democrazia in Birmania, lo hanno
fatto convinti che il pericolo di difendere apertamente i diritti umani
fondamentali in uno stato repressivo fosse preferibile alla sicurezza di una
vita sottomessa in servitù…» ( Aung
San Suu Kyi)
Aung San Suu Kyi (Rangoon,
19 giugno 1945) è un’attivista politica birmana impegnata da molti anni nella
difesa dei diritti umani del suo Paese, oppresso da una rigida dittatura militare.
Figlia
del generale Aung San, considerato in Birmania un eroe nazionale perché l’aveva
resa indipendente dall’Inghilterra nel 1947, e di Daw Khin Kyi, unica
ambasciatrice donna della Birmania, Suu Kyi è nata nella capitale, Rangoon, nel
1945. Fin d’adolescente, dopo la morte del padre vittima di un attentato, segue
la madre nel suo lavoro all’estero.
«Per me
mia madre rappresentava integrità, coraggio e disciplina. Aveva un cuore molto
generoso. Ma la sua vita non era stata facile. Penso che sia stato molto arduo
per lei coniugare famiglia e lavoro dopo la morte di mio padre..»
Dal
1964 al 1967 studia Filosofia, Politica ed Economia all’Università di Oxford,
in Inghilterra, e dal 1969 lavora a New York presso le Nazioni Unite. Nel 1972
sposa Michael Aris, professore di letteratura tibetana a Oxford, da cui ha due
figli.
Il
31 marzo 1988 un’improvvisa telefonata segna il suo futuro: la avvisano che la
madre è gravemente malata. Suu Kyi rientra in Birmania dopo moltissimi anni di
assenza dal suo Paese e da quel giorno non torna più in Occidente.
La
Birmania è da anni governata da una dittatura militare istituita dal generale
Saw Maung.
Nel
settembre 1988 i militari sparano su una folla immensa
(la rivolta 8888) che manifesta
pacificamente contro la dittatura e uccidono migliaia di persone. E’ l’evento
che muove Suu Kyi ad entrare in politica e unirsi alle proteste della sua gente
verso un regime che l’ha privata di ogni libertà, di ogni diritto, l’ha ridotta
in miseria e punisce i dissidenti con la tortura, i lavori forzati, il carcere,
la morte.
Con un discorso
memorabile alla pagoda di Shwedagon, davanti a mezzo milione di persone, il 26
agosto del 1988, Suu Kyi entra in politica: «In quanto figlia di mio padre, non potevo
restare indifferente di fronte a tutto ciò che sta accadendo.» Lancia
quella che definisce la “seconda battaglia per l’indipendenza nazionale” e
fonda la National League for Democracy
(NLD); la sua casa diventa il quartier generale di coordinamento del
partito e della “lotta non-violenta”
contro la dittatura.
Suu
Kyi diventa capo dell’opposizione con l’obiettivo di contrastare la dittatura
militare dello SLORC (Consiglio di Stato
per la restaurazione della legge e dell’ordine). Lo SLORC detiene il potere
tramite la legge marziale, gli arresti arbitrari e la detenzione di persone
sospette.
Nel
luglio del 1989, lo SLORC le offre la possibilità di lasciare il Paese, se
vuole, a condizione di rimanere in esilio, ma lei è determinata a restare in
Birmania e così viene messa agli arresti domiciliari per aver denunciato che lo
SLORC è controllato dal generale Ne Win che, sebbene in pensione, comanda il Paese.
Tuttavia
appena libera la donna tornerà vicina al suo popolo, ascolterà la voce della
sua gente, vorrà sapere dei suoi bisogni, scriverà, terrà i discorsi
settimanali o “della domenica” presso la sua casa di Rangoon. Esorterà ad avere
fiducia, a credere nella forza dell’amore, del bene, nella nonviolenza, a considerare necessaria la vittoria finale di questi
valori perché propri dell’uomo, della sua natura, della sua civiltà.
Nel
maggio 1990 la NLD vince le elezioni ottenendo l’80% dei seggi, ma lo SLORC
annulla i risultati delle votazioni e ricorre ad ogni forma di violenza
materiale e morale; continua con le sue gravi misure contro i cittadini e in
particolare contro gli esponenti del partito democratico.
Per
tentare di mettere a tacere le manifestazioni a favore della democrazia,
l’esercito birmano uccide per le strade circa 3.000 persone tra studenti,
monaci buddisti e civili. E questo nonostante i richiami che da tanti governi
stranieri giungono ai capi birmani invitandoli ad una politica più conciliante.
Nel 1991, Sempre
durante gli arresti domiciliari, Aung San vince i premi Rafto, Sacharov (per la
libertà di pensiero) e il Nobel per la Pace, e con i soldi del premio crea un
fondo per la salute e l’istruzione a favore del popolo birmano.
Nel
1995 le vengono revocati gli arresti, ma rimane comunque in uno stato di semilibertà.
Non può lasciare il Paese ed i suoi familiari, che sono rimasti in Inghilterra,
non possono visitarla; nemmeno suo marito, quando gli viene diagnosticato il
cancro, potrà andare in Birmania e morirà senza rivederla.
La
Birmania continua la sua politica di militarizzazione e, da qualche tempo, Suu
Kyi chiede di boicottare il turismo nel suo Paese. Suu Kyi ritiene, infatti,
che il turismo e gli investimenti stranieri aiutino il governo militare a
conservare il potere.
A
56 anni Suu Kyi continua a battersi, in stile gandhiano, per la democrazia, il
rispetto dei diritti umani e la nonviolenza.
I suoi modelli di riferimento sono sempre stati Gandhi e suo padre.
Dal
primo ha appreso la dottrina della nonviolenza;
dal secondo l’umiltà e l’impegno per il proprio popolo. Nel suo libro “Libera dalla paura”, questa donna
coraggiosa afferma che non è il potere che corrompe, bensì la paura. Ecco
perché per rispondere alla violenza del governo si è impegnata ad agire senza
paura. Tuttora, Suu Kyi non ha paura di rinunciare, pur dolorosamente, alla
lontananza dagli affetti più cari, pur di portare avanti la lotta per la
libertà del suo Paese.
Suu Kyi si presenta
come un chiaro modello e come simbolo della speranza e di una forza più grande
del potere armato.
Nel
2007 riesce a fare una breve apparizione al cancello della sua residenza e con
le mani giunte rende omaggio ai monaci che marciano per la libertà e i diritti
umani. Nonostante il regime militare spari sui dimostranti, la folla di monaci
affronta coraggiosamente i militari e continua a protestare pacificamente.
Migliaia di persone vengono arrestate, interrogate e torturate.
Il 13 novembre 2010,
finalmente, Aung San Suu Kyi viene liberata e dopo 10 anni
ha potuto sentire al telefono suo figlio più piccolo, ormai 33enne ed il 23
novembre, finalmente rivederlo.
Il
1° aprile del 2012, Aung San Suu Kyi è stata eletta in Parlamento con l’82 %
delle preferenze e il suo partito (la Lega Nazionale per la Democrazia) ha
conquistato 43 dei 45 seggi in palio.
Nei
prossimi mesi la giunta militare che da anni guida la Birmania deciderà se Aung
San Suu Kyi, leader dell'opposizione, potrà candidarsi alle elezioni
presidenziali del 2015.
Film consigliato: “The
lady – L’amore per la libertà” (2011) di Luc Besson