Kailash
Satyarthi (Vidisha, 11 gennaio 1954) è un attivista indiano. Ha vinto il Premio
Nobel per la pace nel 2014 insieme alla pakistana Malala Yousafzai per le loro
lotte in favore dell'educazione e la salvaguardia dei bambini.
Kailash Satyarthi è impegnato nella
lotta contro lo sfruttamento del lavoro minorile. La sua azione ha permesso di
liberare dalla schiavitu' almeno 80.000 bambini facendo in modo che
intraprendessero un percorso di reintegrazione, riabilitazione ed educazione.
Satyarthi
ha portato avanti la tradizione del Mahatma Gandhi attuando diverse forme di
proteste pacifiche, mostrando un grande coraggio e concentrandosi sul grave
sfruttamento dei bambini per scopi economici.
Le marce sono sempre state parte
integrante della tradizione indiana. Il Mahatma Gandhi ne ha condotte tante per
sensibilizzare la popolazione.
Tenendo presente il forte impatto
che hanno, specialmente quando si tratta di mobilitazioni di massa, le marce
hanno sempre avuto un ruolo importante nella strategia complessiva che
Satyarthi adotta contro la schiavitù minorile.
Con la sua organizzazione ‘Bachpan Bachao Andolan’, Satyarthi
in India è considerato un punto di riferimento per quanto riguarda l'abolizione
del lavoro minorile.
Più di una volta
Kailsh e gli altri attivisti che lo accompagnavano sono stati aggrediti e
brutalmente picchiati. C`é anche chi ha perso la vita.
Il lavoro coatto
(forzato) è una forma di schiavitù che consiste nello sfruttamento di una
famiglia estremamente povera che, per poter sopravvivere, chiede un prestito a
uno strozzino (di solito si tratta di piccole cifre) e in cambio è costretta a
lasciare un figlio in cauzione, fino all'estinzione del debito. Ma molto spesso
la famiglia non riesce ad estinguere il debito, perciò il bambino viene venduto
e rivenduto a diversi padroni. Questi piccoli operai lavorano i diamanti, il
taglio delle pietre, lavorano nella manifattura e in altre forme di
artigianato.
Ogni bambino che
lavora toglie un posto ad un adulto. Satyarthi afferma: “La crescita della disoccupazione è direttamente connessa alla crescita
del lavoro minorile”.
Il datore di
lavoro indiano preferisce assumere, in una famiglia, il bambino piuttosto che i
suoi genitori. Perché i bambini si possono pagare meno ed è più facile
sfruttarli: “Di certo non sono in grado
di fare rivendicazioni o di strutturarsi in sindacati”. Questo il semplice
e disarmante circolo vizioso: “I figli
assunti al posto dei propri genitori”.
Satyarthi salva
i bambini e le donne dalla schiavitù in fabbriche sovraffollate, luride e
sperdute, nelle quali si lavora in condizioni a dir poco deplorevoli, con orari
disumani, senza alcuna misura di sicurezza.
“Riteniamo che non ci siano violazioni dei diritti
umani peggiori di questa. È la lacuna più vergognosa della giustizia indiana,
della Costituzione del nostro Paese e della Carta delle Nazioni Unite. L'arma
più efficace che abbiamo a disposizione è quella di educare la gente, creando
sensibilità e consapevolezza riguardo a questa piaga sociale. Inoltre, cerchiamo
di identificare le aree in cui viene comunemente praticata la schiavitù
minorile. Andiamo anche a prendere i bambini di nascosto e li riportiamo alle
loro famiglie. A questo fa seguito la loro istruzione, nonché la
riabilitazione, che sono passi altrettanto fondamentali dell'intero processo”.
(Kailash Satyarthi)
Satyarthi ha
organizzato e condotto due grandi marce attraverso l'India per sensibilizzare
la popolazione sul problema del lavoro minorile e, nel 1998, è riuscito a
riunire oltre diecimila organizzazioni non governative di tutto il mondo in una
marcia denominata Global March Against
Child Labor.
La domanda sarà
scontata, ma come non farla: come ha accolto la notizia?
Questo premio è
un riconoscimento ed un onore per i milioni di bambini che ancora sono in
schiavitù, che sono privati della loro infanzia, dell’educazione, ma
soprattutto del loro diritto fondamentale alla libertà. Voglio ancora una volta
ricordare e richiamare all’attenzione il fatto che ci sono ancora molti, troppi
bambini che lavorano come schiavi nelle fabbriche di mattoni, nelle case, nelle
miniere. Spesso rimangono invisibili. Questo premio è per loro, ma è anche per
gli indiani: l’India è forse la madre di centinaia di problemi ma è anche anche
la madre di milioni di soluzioni.
Lei sta
dividendo il Nobel con una cittadina pakistana. Come legge questa situazione
alla luce delle recenti tensioni tra i due Paesi?
Credo che sia
stata una grande decisione, un messaggio che non deve arrivare soltanto ai
governi, ma soprattutto ai cittadini. Ho lavorato con organizzazioni pakistane
per molti anni, sono stato lì spesso e conosco la gente. Ho sempre pensato che
una convivenza pacifica sia e debba essere possibile. Possiamo e dobbiamo
vivere in pace nel nome dei comuni valori dell’umanità, soprattutto quando
parliamo di infanzia. I bambini devono nascere e crescere nella pace, devono
divertirsi e viversi l’istruzione come esseri umani liberi.
Spesso la
povertà è considerata origine dello sfruttamento minorile…
Il fatto che la
povertà sia causa e perpetuazione del lavoro minorile è solo ed assolutamente
un mito. È in realtà il lavoro minorile a permettere alla povertà e
all’analfabetismo di continuare ad esistere. Non possiamo più nasconderci
dietro alla scusa della povertà come origine dello sfruttamento minorile e del
furto dell’infanzia dei nostri bambini. È inaccettabile.
Che cosa le ha
fatto scegliere di intraprendere questo lavoro?
Tutto è nato
dalla compassione, quando avevo cinque o sei anni. Per la prima volta, nella
mia città natale ho visto un bambino che aveva la mia stessa età lavorare con
il padre; proprio davanti alla mia scuola. Provavo un sentimento
contraddittorio: da una parte io ero contento e studiavo con gioia, dall’altra
c’era lui che, invece, lottava per la sua infanzia e per il suo sostentamento.
Chiesi ai miei genitori e al mio maestro come fosse possibile e mi diedero la
stessa risposta: sono bambini poveri e quindi lavorano. Non mi convinsero. Un
giorno chiesi al padre di quel bambino, come mai non mandasse il figlio a
scuola; mi guardò come se gli stessi facendo una domanda assurda e mi rispose:
noi siamo nati per lavorare. Rimasi stupito ed attonito. Perché qualcuno era
nato per lavorare mentre io, invece, me ne andavo a scuola sereno? Queste
domande mi hanno sempre accompagnato e il non aver trovato una risposta
convincente mi ha portato a iniziare a combattere.